Proseguo le misure della mattina e ogni volta devo uscire fuori insieme all’assistente medico per reclutare volontari da testare. Ad un certo punto una signora o forse una signorina, non posso dire l’età perché il velo da lei indossato me lo impediva, vorrebbe prestarsi ma prima tira fuori il telefono: il collega mi spiega che sta chiamando il marito per chiedergli permesso di entrare da sola in stanza con me. Inizialmente non capisco se l’interprete stia scherzando o parli sul serio: ha chiamato davvero suo marito per non incorrere nel rischio che lui si presentasse armato in sala. Forse sono estremismi, appartenenti ad un costume e ad una cultura ma sembrano scene drammatico grottesche. Devo effettuare riprese durante il test perché sono costretto a documentare e archiviare tutto: l’Iraq non è proprio a due passi e, se si è capito in quale fase è avvenuto l’errore, effettuare una nuova misura non è così agevole.
Finalmente arriva la conferma di trasferimento presso la clinica specializzata in malattie polmonari: mi sento entusiasta e leggermente spaventato allo stesso tempo. Nella prima visita, scortato in macchina, il rientro nella cittadella ospedaliera non è stato scontato al varco militarizzato. La struttura medica è sontuosa e stona con il territorio di pochi metri distante. Il palazzo è nuovo, grigio e blu in mezzo al colore giallastro delle strade e delle case diroccate. Salendo per le scale noto che la ringhiera è in color oro e le piastrelle sono di un bianco perla. Giunto nella sala che mi viene offerta per le nuove misure scorgo Nasirya dietro quel vetro a parete, scorgo il nulla. Già un terzo piano ti permette di vedere fino a centinaia di metri distante. Le attrezzature sono ordinate e pulite e si respira un clima di benessere in forte contrasto col resto del quartiere. Questa volta mi occupo di segnale vocale per il riconoscimento di tumore ai polmoni e subito arriva la paziente dalla sala affianco. Ora ho persino due assistenti ingegneri per svolgere il test, i bicchieri di plastica e l’acqua sono addirittura in eccesso. L’abbondanza di acqua in questa città non è da sottovalutare, può esser indice di ricchezza. Nell’attesa del successivo paziente i due ingegneri iracheni mi chiedono quale sia la principale differenza fra i nostri paesi: purtroppo non sono ancora in grado di rispondere perché sono rimasto chiuso in uno sgabuzzino ospedaliero per 3 giorni, ancora non ho visto nulla della città se non le persone in attesa di intervento chirurgico. Mi chiedo come possano esserci ricchezza e povertà a un metro di distanza, un piede dentro il nuovo palazzo e l’altro poggiato sulla strada di terra.
Permane la gentilezza degli assistenti, ora ancora più attenti: spiegano al paziente con molta calma il test che verrà svolto, utilizzano scene della quotidianità per far comprendere i suoni. Ad un certo punto capisco che fanno riferimento agli urli della madre quando chiama il figlio, lo capisco dalla mimica e loro si divertono. A fine test mi consigliano di salutare e incoraggiare il soggetto.
Dopo qualche minuto uno dei due assistenti mi avvisa che deve pregare, pone un tappetino per terra, si toglie camice e scarpe, ripete una sequenza di gesti: prima sta in piedi poi si china e per ultimo si inginocchia fino a poggiare la testa al suolo. Non capisco cosa dice ma noto che mentre prega mi guarda: di nuovo in piedi, chino, giù per terra. Prega Allah e si pone le mani in testa. Sono gesti di prostrazione completa mentre attorno gli altri proseguono il loro lavoro. Quanti hanno persino timore di esternare la loro confessione e si sentono in imbarazzo?
Nell’attesa del successivo soggetto, mi invitano ad assistere al prelievo di un campione polmonare per la biopsia: si tratta della stessa signora misurata pochi minuti prima. La sonda passa attraverso la via nasale arrivando fino ai polmoni: con la camera posso vedere quelle corde vocali che in contrazione e distensione causano differenti suoni: quale è la voce che preferite? Quella della madre, del padre, del coniuge, fidanzato/a, dei figli, degli amici? La signora distesa a letto perde della sua fisionomia attraverso la camera, si riduce ad un condotto a pareti pulsanti secondo l’atto respiratorio. Da un tunnel principale cominciano a diramarsi vie periferiche sempre più sottili, di color rosa, fino a comparire le prime macchie tumorali. Provo una strana eccitazione nel ripensare agli studi della meccanica delle strutture, chissà se avessi intrapreso quella strada: forse sarei ugualmente in Iraq per la meccanica della ventilazione applicata alle malattie polmonari.
I pazienti della nuova clinica, sono ben vestiti, sono meno nervosi perché la voce della segreteria li chiama uno alla volta per la visita: sembra una qualsiasi clinica italiana.
Come è possibile tanta differenza di benessere a pochi metri di distanza?
Data inserimento: 2018-02-22 20:31:52
Data ultima modifica: 2018-02-23 20:13:01
Scritto da: Antonio Pallotti